Sostanza di una vita di Melissa L.

Ero lì, sul giaciglio di un burrone vicino alla superstrada che portava verso Firenze. Tutto mi sembrava offuscato, contorto, troppo complicato per la mia mente. Mi sembrava di vivere in un incubo, dal quale non riuscivo mai a svegliarmi. Volevo solo una fine, una fine per tutto, perché a mio parere stavo già vivendo l’inferno nella mia vita ancora terrena. Tutta la mia esistenza risultava priva di senso, come se vivessi  senza un vero motivo. Volevo solo saltare e non riuscire più ad alzarmi per camminare verso casa. Scorrevano a velocità massima davanti ai miei occhi tutte le cose che avevo fatto… forse era solo la mia coscienza.  Ad un certo punto il flusso di pensieri fu interrotto da uno scricchiolio di scarpe su sassolini: era Fede, il mio migliore amico. Un ragazzo abbastanza robusto rispetto a me, con un volto tondeggiante che ispirava dolcezza e con un gran sorriso che quando lo donava a qualcuno sembrava illuminarlo di spensieratezza e di un’innata allegria. Lì per lì più che sorpreso mi sentii spaventato, non avendo ben compreso chi fosse a muoversi dietro di me, ma quando udii una voce dire: “hey che fai qui, sei pazzo?”, fu tutto più chiaro. Così colto in flagrante in quello strano posto che avevo scelto, risposi: “oh si, sono proprio pazzo, penso che devi fartene una ragione dopo 16 anni che mi conosci!”, “già, già… ma ancora mi sto abituando.” Entrambi ridemmo di gusto. Dopo un paio d’ore di una lunga passeggiata parlando, tra l’altro, di come il nostro migliore pilota italiano della motoGP fosse scivolato in gara così scioccamente facendo passare al primo posto l’irlandese, tornammo a casa e con solo quattordici passi, dopo averci salutato dai cancelli delle nostre case, mi ritrovai in camera seduto vicino alla scrivania in una penombra irreale che tutto avvolgeva lasciando trasparire solo il mio corpo, illuminato, com’era, da un labile raggio di luce che timido oltrepassava il vetro della mia finestra. Quella camera, quei colori sbiaditi, il profilo di poster che tappezzavano tutto, i miei libri ordinati in libreria, io stesso in quel contorno; il tutto mi sembrava un mondo irreale e sospeso nel nulla del quale me ne domandavo le ragioni. Chi lo aveva deciso per me? O almeno c’era un motivo in quella decisione? Così, perso in quei contorti pensieri che inondavano la calma della mia mente, continuai, attonito ed incantato,  a girare in tondo sulla sedia della mia scrivania, districando, in un movimento sempre uguale a sé stesso, un senso per essere ancora da tutto quello strano intreccio di nero e bianco che ovunque mi circondava. Ero come in attesa di un evento improvviso o di un nuovo confortante ricordo. In quella giostra della mia ragione trascorsi circa un’ora, ridestato solo dalle urla di mia madre che, senza sosta e piuttosto irritata, continuava a chiamarmi dalla cucina per la cena già pronta. Mangiai il più in fretta possibile, presi il mio piccolo notebook nero e saltai sul letto. Acceso il computer aprii FB e vidi una richiesta di amicizia che, così come sempre, accettai senza indugio. All’improvviso una piccola finestra della chat con il nome di Alessandra B si aprì (nome molto comune, ma mai avrei pensato che per me sarebbe stato unico). Scrisse: “ciao Ea!” ed io con un gesto inconsapevole scrissi a mia volta, “ciao Dra!”. Lei cominciò a chiedere quali fossero i miei generi musicali preferiti, che scuola frequentassi, dove abitassi, quale sport praticassi e via dicendo, tra le cose che due spesso si dicono quando si stanno conoscendo. Così scoprii di avere quasi tutto in comune con lei eccetto qualcosa, come ad esempio il nome, il nostro sesso e che aveva un anno meno di me, visto che aveva 15 anni. Frequentava il liceo Classico della zona, amava la bici, giocava a calcio e vedendola solamente dalla foto sembrava bellissima, con occhi azzurri incorniciati da dei lunghi capelli castani che si adagiavano su un corpo esile e longilineo. A quella visione pensai che mai nessuno avrebbe potuto dire di lei che fosse una ragazza “non particolarmente carina”. Erano trascorsi da quel primo incontro virtuale, avvenuto una domenica per essere precisi, esattamente cinque giorni, in cui considerando almeno sette ore di sonno e cinque di scuola, le restanti ore le passai con il mio notebook, quando chiesi ad Alessandra di vederci di persona, anche se per tranquillizzarla, infondo ancora non ci conoscevamo bene, e per evitare inutili imbarazzi o sensati timori, la pregai di portare con sé qualche amica o amico, così come io stesso avrei fatto. Senza troppa esitazione, dopo qualche frazione di secondo, mi rispose con un centinaio di “Si” che popolarono tutto quel bianco e blu che ovunque si diffondeva sul monitor del mio portatile. Mi sentii come se avessi vinto un premio, euforico per la mia grande vittoria.  Ci eravamo dati appuntamento per il giorno successivo alle ore 20:00 di fronte alla chiesa principale della città. L’attesa per quel primo incontro sembrò durare un’eternità, ma poi finalmente giunse il desiderato momento. Così mi ritrovai al posto prefissato per il nostro incontro che erano appena le 19:30, portando con me Fede, che naturalmente era pronto a prendermi in giro se la ragazza della quale gli avevo parlato non si fosse presentata. Il suo fastidioso presagio si rivelò veritiero. Aspettai, tra gli sfottò di Fede ed ansie sempre crescenti, fino alle 22:15 e dopo aver camminato ogni singolo centimetro di quel piazzale, adornato a festa per la ricorrenza del santo patrono “San Giorgio”, dovetti ammettere che non sarebbe più arrivata. All’inizio volevo convincermi che non mi avesse riconosciuto tra le tante persone che camminavano tra le strade, mangiando hot dog e svariati panini e guardando il mercatino che popolava i marciapiedi. Ma poi mi sentii tradito, ingannato, stupido per aver creduto in qualcosa e per aver sperato, probabilmente, da solo e infine fui solo umiliato da me stesso. Così, per svagarmi e per lenire la mia rabbia, andai a prendere una pizza da Pietro, anche se non con la persona che avevo immaginato. Quel posto lo adorava mio padre, almeno così mi raccontava quando ancora viveva in casa con noi, visto che gli aveva fatto fare grandi fortune con le ragazze, ovviamente sprovvedute, attirate da lui. Mi trovai a mangiare, deluso e rabbioso, furiosamente ogni patatina del mio piatto mentre con sguardo demoniaco fissavo la vetrata di fronte al mio tavolo, nella speranza di scorgere Dra tra folla di quel posto, ma fu tutto vano. Ovviamente Fede cominciò a preoccuparsi per la mia eccessiva reazione, anche se io feci finta di niente, e forse fu proprio per tentare di calmarmi che mi trascinò al bowling per cinque partite di seguito. Tornai a casa, esausto e sconvolto, che era, stranamente, non più tardi di mezzanotte, dove raccolsi le mie ultime forze solamente per una doccia fresca e per le mie gambe che s’incamminarono fino al soffice e comodo letto.

Aprii gli occhi e c’era qualcosa che mi accecava: mia madre aveva aperto tende e finestre e sentii ad alta voce: “Andreaaa! Svegliati che è mezzogiorno passato! È tardissimo, devi studiare, o come vuoi far credere tu, devi ripassare per l’esame d’inglese di domani!” ed io, ancora forse nel dormiveglia, dissi: “No! Mamma, leggi il cartello fuori la porta? Sta a significare che soprattutto la domenica devi lasciarmi stare nella mia camera… e per inglese non ti preoccupare, so io come organizzarmi!”. Lei come se fossi stato per quei due minuti in silenzio, tirò a se tutte le coperte del letto e rimasi congelato con solo un pigiama leggero alle intemperie che oramai la mia stanza ospitava. Avevo capito che non c’era nessun’altra speranza di dormire un po’ in più così definitivamente mi alzai, guardai per un momento il soffitto nella speranza di qualche segno di non so chi e andai a fare colazione. Dagli stipiti della cucina e dal frigorifero presi il barattolo di nutella, crackers, succo di pesca e una confezione di bucaneve. Mangiai tutto, dopo mi lavai e mi vestii con il solito jeans e una maglietta blu con sopra scritto in rosso “I want to be free :)”. Dopo poco mi sedetti alla mia scrivania e tirai fuori i vari libri per il tanto nominato ripasso d’inglese fissando quei ventimila righi infiniti in cerca di un’ispirazione che mi tenesse lì per ore ed ore. Fortunatamente la trovai ed insieme a tre barrette di cioccolata al latte e con un inesorabile tè alla pesca riuscii a rivedere prima dell’ esame in tutto circa mille e duecento pagine. Sfinito oramai che erano già le 11 di sera, stupendo perfino mia madre, mi ritrovai, non so come, direttamente tra le coperte sognante già.

Melissa L.

  1. Roberta
    aprile 12, 2011 alle 7:46 PM

    Bello e coinvolgente…anche se mi chiedo se “Anonimo del sublime” sia una donna o un uomo! Possibile saperlo?

  2. Valeria
    aprile 12, 2011 alle 7:50 PM

    Quante emozioni in un così breve racconto! Attendo con ansia nuovi scritti! Ma anonimo del sublime, chi sei? Immagino non l’autore di Ananda, essendo questa una sezione a parte e firmandosi, lui, con il suo nome!

  3. melissa
    aprile 12, 2011 alle 8:54 PM

    l’autore è un’autrice e sono io con grande piacere!Ho 14 anni e sono contenta che vi piaccia…allora continuerò.

  4. aprile 12, 2011 alle 9:40 PM

    Meraviglioso! Bravissima autrice in erba…e continua così…non vedo l’ora di inserire il prosieguo!

  5. Valentina
    aprile 12, 2011 alle 9:47 PM

    L’esordio di na così giovane scrittrice!!! è un vero piacere leggerlo…sono in attesa di nuove emozioni vibranti!!

  6. Roberta
    aprile 13, 2011 alle 8:59 am

    Grazie per esserti svelata Melissa. Non avrei mai immaginato che potessi avere solo 14 anni…bravissima!

  7. Paolo E.
    giugno 15, 2011 alle 7:15 PM

    Veramente stupendo! Non vedo l’ora di leggere il prosieguo!

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